
Notizie come le seguenti: è sufficiente navigare in internet pochi minuti per trovarne tantissime..
Cina, bambini schiavi R.S. a cura della redazione ECplanet
Le peggiori fabbriche con schiavi esistono ancora Genitori di bambini schiavi spiegano che in molte fabbriche non è stato arrestato nessuno e che la polizia protegge gli schiavisti. Ritengono “lievi” le pene date ai pochi riconosciuti colpevoli, anche se un sorvegliante è stato condannato a morte per avere ucciso di botte un operaio. Solo qualche anno di carcere al proprietario. Esistono ancora fabbriche di mattoni peggiori di quella della contea di Hongtong, dove c'erano bambini ridotti in schiavitù. Zhang Xiaoyng, genitore che ha visitato centinaia di fabbriche nello Shanxi mentre cercava il figlio rapito, dice che le gravi condanne degli schiavisti non sono da sole sufficienti a stroncare il traffico di essere umani. “La fabbrica di Hongtong – dice la Zhang al quotidiano South China Morning Post – non era la peggiore… Le peggiori stanno a Yongji e Linyi. Ci sono molti sorveglianti e abbiamo visto molti bambini”. In alcune fabbriche è stato difficile persino entrare e i bambini si sono attaccati ai loro calzoni pregando di portarli via. “Lo abbiamo raccontato alla polizia locale – dice – ma si è rifiutata di intervenire”. Osserva che molti schiavisti non sono stati arrestati, ad esempio quelli diLinyi, per cui teme che proseguiranno il loro “traffico”. Ieri il tribunale di Linfen ha condannato a morte Zhao Yanbing, caposquadra della fabbrica di Hongtong, e al carcere altri 10 responsabili, tra cui il sorvegliante Heng Tinghan all'ergastolo e il proprietario Wang Bingbing, figlio del segretario del Partito comunista locale, a nove anni per detenzione illegale di esseri umani. Zhao ha ammesso di avere battuto a morte a novembre uno schiavo, ritardato mentale, perché non lavorava abbastanza veloce. Sono stati condannati anche responsabili di altre fabbriche, a pene di qualche anno di carcere. In queste fabbriche centinaia di lavoratori (tra cui oltre 100 minori) sono stati ridotti in schiavitù, costretti a lavorare tutto il giorno senza paga e con un minimo nutrimento, sorvegliati da guardie e cani. spesso percossi. A Linfen e Yuncheng, nello Shanxi, sono stati puniti 95 funzionari, ma tutti di basso livello; la maggior parte ha ricevuto semplici ammonimenti o sanzioni lievi e solo alcuni sono stati espulsi dal Pc o accusati di reati. Zhang Shanlin, padre del minore Zhang Yinlei per mesi costretto a lavorare a Hongtong, dice che la pena per Wang è stata mite e teme che abbia avuto “protezioni”. “Quelli dello Shanxi – dice – hanno avuto sentenze miti, e quelli dell'Henan ancora più lievi”. Liu Jianzhuang, avvocato che assiste alcune vittime della fabbrica, è “sorpreso” che il sorvegliante Zhao sia stato condannato a morte mentre Heng, vero organizzatore e supervisore della fabbrica, abbia avuto “solo” l’ergastolo. Intanto non è chiaro quando il tribunale terrà l'udienza per il loro risarcimento.


3 commenti:
Bambini-operai in Cina
redazione ECplanet
PECHINO: La telecamera segue il cronista al primo piano di un caseggiato, dentro uno stanzone pieno di ragazzini che stanno assemblando dei giocattoli. «A sorpresa commenta la voce del giornalista quando appena cerchiamo di parlargli, è scattato un fuggi fuggi generale. Alla fine riusciamo a bloccarne qualcuno al piano di sopra, sono bambini che dimostrano undici o dodici anni».
Il cronista ne interroga uno: di dove sei, quanti anni hai ? «Vengo dalla provincia del Guangxi. Ho quindici amni». Che classe fai ? «La quinta elementare». È difficile credergli, commenta la voce fuori campo, dalla statura e dall'aspetto ne dimostra molti meno e a quindici anni non sarebbe ancora in quinta. «Tutti i ragazzi prosegue - riflettono a lungo prima di rispondere alle nostre domande. Dal primo lavorare in fabbrica, li hanno istruiti a rispondere sempre che hanno 16 anni, l'età minima legale per lavorare. Ci sono 50 - 60 bambini impiegati in questa fabbrica. Come gli adulti, lavorano più di dieci ore al giorno. Abbiamo anche notato un regolamento appeso al muro che proibisce agli operai di lasciare il posto di lavoro per più di dieci minuti».
Lo scoop sullo sfruttamento dei minori in una fabbrica di giocattoli a Dongguan, nella regione cinese del Guangdong, non è opera di giornalisti dissidenti o di organizzazioni umanitarie occidentali. Va in onda sulla Cctv, la rete di stato cinese. È un magazine di attualità dalla audience elevata che rompe il tabù dello sfruttamento minorile nelle fabbriche cinesi. Il reportage rivela che alcuni di questi ragazzi hanno passato così le «vacanze scolastiche» del Capodanno cinese (finite domenica scorsa), curvi alla catena di montaggio, con turni di lavoro fino a 12 ore e anche rotazioni di notte, salari di 600 yuan al mese (60 euro) cioè meno della metà del minimo legale, mansioni pericolose che li espongono a sostanze tossiche come colle e vernici dalle esalazioni nauseabonde.
Molti di questi ragazzi hanno abbandonato la scuola dell'obbligo perché le famiglie non potevano mantenerli. Ma la vera notizia non è l'esistenza del lavoro minorile in Cina. Numerose inchieste lo hanno documentato. I giornalisti cinesi che se ne sono occupati in passato hanno subito la censura, alcuni hanno perso il posto di lavoro, altri sono stati minacciati o arrestati dalla polizia. In alcune delle regioni più industrializzate le autorità locali trattano queste notizie come un «segreto di Stato». La novità assoluta è che sia scesa in campo la televisione di Stato per spezzare l'omertà. È un segnale che il governo di Pechino vuole finalmente combattere questa piaga ? Lo scoop della Cctv naturalmente è a lieto fine, e prevede un ruolo positivo per le autorità.
«Durante il nostro reportage nel Guangdong - commenta il cronista - il governo locale ha scoperto più di duecento bambini sfruttati nelle fabbriche di Dongguan. La polizia è stata allertata. Abbiamo incontrato alcuni di questi ragazzi mentre sporgevano denuncia, accolti nel commissariato di polizia». Il finale positivo è d'obbligo, ma durante i venti minuti della trasmissione i telespettatori hanno avuto diritto a un'informazione precisa, accurata, drammatica.
Autore: Federico Rampini
Fonte: La Repubblica del 14 febbraio 2006 n. 37
da: www.ilpungolo.com
Sento ancora il coro ipocrita di tutti coloro che, quando venne stabilito che le Olimpiadi 2008 si sarebbero tenute a Pechino, cercavano di tacitare le voci che protestavano contro questa decisione affermando che, proprio a causa della responsabilità di ospitare i Giochi Olimpici, la Cina sarebbe stata costretta ad aprirsi ed allentare in qualche modo il controllo ferreo che il Governo e il Partito Comunista esercitano sulla società. Bene, adesso che solo una manciata di mesi ci separano dall'8 agosto del prossimo anno, possiamo tentare di verificare la bontà di quelle parole e il livello dei cambiamenti positivi che "la responsabilità olimpica" ha prodotto all'interno della Repubblica Popolare Cinese.
*LIBERTA' DI STAMPA
E' di pochi giorni fa, la notizia che in Cina tutti i giornali e le televisioni hanno ricevuto un decalogo virtuoso a cui ogni operatore della comunicazione è tenuto ad attenersi se non vuole avere noie con la legge. E' una breve lista di cose che si devono o non si devono fare. Ad esempio non si devono pubblicare notizie che potrebbero nuocere all'immagine della Cina. Non si devono commentare fatti sui quali c'è già un comunicato ufficiale del governo e dunque è superfluo inviare giornalisti a seguire conferenze, eventi o congressi per i quali basta ed avanza la posizione ufficiale del Partito. Non si devono inoltre pubblicare notizie senza il preventivo permesso delle autorità. E così via. Insomma dieci comandamenti per il perfetto giornalista che non può informare sugli scandali, riportare di sua iniziativa le critiche e le proteste (ormai sempre più numerose soprattutto nelle campagne) ma parlarne solo quando la propaganda del regime lo ritiene utile, vale a dire in occasione del lancio di una determinata campagna repressiva diretta contro il "nemico del popolo" di turno. Grande spazio invece alla vertiginosa crescita dell'economia, alle imponenti realizzazioni del socialismo di mercato, al boom edilizio, ai successi sportivi e cose del genere. Ecco l'informazione pretesa dalla Pechino che si appresta a celebrare i Giochi Olimpici 2008.
E le immancabili aperture politiche che tanti ottimisti a buon mercato avevano previsto o addirittura date per sicure? Guardiamo insieme qualche breve istantanea scattata da uno dei più attenti osservatori della realtà cinese, l'agenzia di stampa Asia News in un suo recente numero. "Sichuan: nella parte della regione con maggioranza etnica tibetana, le autorità hanno stroncato con la violenza e gli arresti le proteste contro lo sfruttamento minerario della montagna Yala (contea di Dafou), una delle nove considerate sacre dai buddisti tibetani. Zhejiang: il 20 giugno la polizia in tenuta antisommossa si è scontrata con oltre 30mila dimostranti contro la demolizione forzata di una casa a Shaoqing, con un bilancio di decine di feriti e almeno due arresti, uno per "occupazione di strada pubblica". Testimoni oculari dicono che la polizia ha provocato gli scontri aggredendo due persone isolate e provocando la reazione della folla. I dimostranti, che si oppongono alla demolizione forzata di un'abitazione di 4 piani nella città bassa di Shengzhou, hanno presidiato la zona per ore. Il governo ha già demolito le altre abitazioni della zona e questa casa ne ostacola i progetti. Sempre nel Zhejiang a Dongtou, contea di Wenzhou, la settimana scorsa funzionari pubblici hanno pestato due residenti che si sono opposti al tentativo di sbriciolare con mine una montagna per creare una spianata di 284 ettari per una vicina spiaggia, nonostante il 28 dicembre il tribunale provinciale abbia dichiarato "illegale" l'ambizioso progetto urbanistico. Sichuan: A maggio la popolazione è dovuta scendere in piazza per ottenere giustizia per il probabile assassinio di Wang Qiang, studente di 15 anni, da parte di due persone rimaste impunite, una delle quali è nipote del capo della polizia locale. Guangzhou: Nel distretto di Haizhu il 20 giugno centinaia di poliziotti hanno caricato e pestato a sangue soldati in pensione scesi in piazza da giorni in modo pacifico per chiedere un aumento della pensione. Molti dei dimostranti sono stati decorati come eroi di guerra nella guerra civile dei tardi anni ‘40 o in quella con la Corea negli anni '50 e hanno manifestato indossando l'uniforme con le medaglie ricevute. Xie Suqing, 52 anni, racconta al South China Morning Post che la polizia lo ha portato presso la stazione di Chigang e lo ha percosso fino a farlo svenire, rompendogli una vertebra. Il giorno dopo un ufficiale di polizia lo ha visitato in ospedale intimandogli di non parlare con i media. Le pensioni sono di circa 1.000 yuan mensili (circa 100 euro), mentre ufficiali di pari grado in servizio sono pagati fino a 9mila yuan. Un lavoratore migrante si dà fuoco in piazza Tiananmen: Non era pagato da mesi. Oltre il 90% dei lavoratori migranti non riceve regolarmente una paga. Molti di essi tentano il suicidio. Un migrante del Jiangsu si è dato fuoco sulla piazza Tiananmen per protestare contro il governo e i capi della sua ditta, che non gli pagano il salario. Così Wang Congan, 53 anni, del Jiangsu, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco trasformandosi in un a torcia umana, mentre la piazza Tiananmen, nel cuore della capitale, era piena di turisti."
*E I DIRITTI UMANI?
Per ovvi motivi di spazio fermiamoci qui ma si potrebbe continuare a lungo in questo elenco che parla della realtà di quella nazione quanto è più del sofisticato profilo dei grattacieli del lungomare di Shangai o delle statistiche sulla crescita del PIL. Così come ci parla della "vera Cina" l'annuale rapporto dell'Associazione "Nessuno Tocchi Caino" che, pur sottolinenando una certa diminuzione del numero delle esecuzioni capitali, ricorda che nel 2006 su un totale di 5.628 condanne a morte eseguite nel mondo, ben 5.000 hanno avuto luogo sul territorio cinese, vale a dire oltre il 90%. E inoltre va tenuto presente che quelle di cui si parla sono le sentenze ufficialmente ammesse da Pechino ma in molti ritengono che il numero reale sia notevolmente più elevato.
Uno dei vanti del presente governo cinese è quello di essere in prima linea nella lotta al terrorismo. Peccato che mentre taccia di "terroristi" tutti coloro che cercano (nella stragrande maggioranza dei casi in modo assolutamente pacifico) di rivendicare spazi di libertà politica, sindacale o religiosa, secondo attendibili fonti riportate dalla stampa internazionale, Pechino fornirebbe armi ai terroristi iracheni e alle milizie talebane in Afghanistan. Anche se l'amministrazione Bush ha cercato di minimizzare la cosa per non aprire un imbarazzante contenzioso politico, appare evidente la gravità della vicenda.
E poi abbiamo Internet dove la censura è ferrea e le condanne per chi trasgredisce pesantissime. Il 27 agosto 2007 il governo ha bloccato 8.808 indirizzi web, e 9.593 siti. Gli oltre 137 milioni di utenti cinesi possono "navigare" solo all'interno degli angusti confini stabiliti dalle autorità e una lunga serie di argomenti sono ufficialmente dichiarati proibiti e chi cerca di affrontarli rischia di pagare un prezzo elevato per la sua curiosità. Viceversa Pechino alleva e finanzia un buon numero di esperti informatici che conducono una spregiudicata guerra virtuale contro i siti e i networks delle organizzazioni del dissenso.
La rete TSG (Tibet Support Groups ) ad esempio, è continuamente bombardata da virus provenienti da siti cinesi. Ma l'aggressività della Cina comunista non si ferma qui e investe anche gli stati stranieri. Questa silenziosa guerriglia informatica è condotta infatti anche contro le reti governative, industriali e perfino militari di nazioni come la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e gli Stati Uniti. Ha fatto particolarmente scalpore a fine agosto, un massiccio attacco elettronico portato contro le reti del Pentagono e la scoperta di un piano per mettere fuori uso e paralizzare i computer delle principali navi da guerra statunitensi.
Altro punto drammatico sono le ricorrenti, capillari e brutali campagne contro la libertà religiosa. Tutto quanto si muove fuori dai confini delle cosiddette "Chiese Patriottiche" (le organizzazioni religiose controllate direttamente dal Partito) è represso senza misericordia. Che si tratti di monaci buddhisti tibetani, di preti e suore cattolici, militanti della Falun Gong, esponenti islamici di etnia uigura, ha poca importanza. Tutti coloro che vogliono esprimere la propria spiritualità liberi dallo stretto controllo governativo vengono duramente perseguitati.
Insomma una situazione ben poco "olimpica". A questo punto il quadro è piuttosto chiaro. Pechino si appresta a usare la suggestiva cornice delle Olimpiadi per celebrare il suo regime e lanciare all'interno e all'esterno della Cina un messaggio di forza, stabilità, potenza. Un messaggio che vuole al medesimo tempo affascinare e incutere timore. Un messaggio che intende chiarire bene a tutti come sia molto più conveniente essere amici della Cina che suoi nemici. E' un copione che il mondo ha già visto messo in scena a Berlino nel 1936 (e immortalato poeticamente e sciaguratamente dalla più grande regista tedesca del Novecento, Leni Riefensthal, nel suo film Apoteosi di Olympia) quando un trionfante Adolf Hitler aprì i giochi in una Berlino trasformatasi per l'occasione nella principale vetrina propagandistica del nazional-socialismo.
*PECHINO 2008 COME BERLINO 1936.
Ma se questa è la strategia di Pechino, quale dovrebbe essere quella di coloro che operano per aiutare un cambiamento di regime in Cina? Chiedere il boicottaggio delle Olimpiadi ai propri governi oppure usare i giochi olimpici per mettere in evidenza l'effettiva natura del regime cinese? Ecco l'opinione di Vicky Sevegnani, dirigente nazionale dell'Associazione Italia-Tibet, "Gli appelli al boicottaggio dei Giochi Olimpici lanciati da più parti (associazioni, gruppi in difesa dei diritti umani, personalità del mondo dello spettacolo e personaggi politici, compresi esponenti del Congresso americano) sono senza dubbio legittimi e pienamente condivisibili. Quanti si attendevano - in primo luogo il Comitato Olimpico Internazionale - che l'assegnazione dei Giochi alla Cina avrebbe indotto Pechino a modificare la sua politica hanno avuto tempo ed occasioni per ricredersi: i reiterati abusi contro i diritti umani perpetrati sia all'interno del paese sia là dove la presenza economica della Cina ha un peso rilevante (vedi il caso del Sudan) non lasciano alcun dubbio circa l'opportunità degli appelli e le indiscutibili ragioni che ne sono alla base.
Detto questo, ritengo che, a questo punto, gli inviti al boicottaggio non fermeranno le Olimpiadi e che la Cina, tra un anno, assaporerà il suo trionfo. Forse sarebbe più efficace sfidare Pechino sul suo stesso campo, durante lo svolgimento dei Giochi, con rapide quanto spettacolari azioni di protesta: penso ai tibetani ma anche al movimento democratico cinese, ai Falun Gong, agli intellettuali, scrittori e artisti che poche settimane fa hanno sfidato il regime chiedendo, in una lettera aperta, maggiore libertà. Grazie alla presenza delle migliaia di giornalisti accreditati, le manifestazioni sarebbero sotto gli occhi di tutti e, nel caso fossero represse con la forza o fosse impedito alla stampa di divulgarne la notizia, la Cina mostrerebbe la sua vera immagine. La ‘società armoniosa' tanto auspicata dalla sua dirigenza rivelerebbe tutte le contraddizioni esistenti al proprio interno".
Una posizione più che condivisibile però ben diversa da quella del Dalai Lama e del suo governo in esilio che sembrano non rendersi conto di quale formidabile occasione rappresenti la carta olimpica per il regime cinese e purtroppo in più occasioni si sono uniti al coro di quanti sono apertamente favorevoli a Pechino 2008. "Anche per quanto concerne le Olimpiadi il Dalai Lama e il governo tibetano in esilio hanno scelto ancora una volta una linea ‘morbida' nei confronti della Cina", sottolinea Vicky Sevegnani, "ma questa politica, ormai diventata una costante, poteva avere come giustificazione la volontà da parte di Dharamsala di non irritare Pechino nell'illusione che un atteggiamento acritico avrebbe in qualche modo giovato all'inizio di quel processo di dialogo sul quale la dirigenza tibetana sembrava nutrire tanta fiducia. Mi sembra però che dopo l'assoluta mancanza di qualsiasi risultato questa politica non trovi più alcuna giustificazione. Per quanto ci riguarda, nella convinzione che dopo le Olimpiadi del 2008 resterà ben poco da fare, l'Associazione Italia-Tibet intende mobilitarsi al meglio delle sue forze per portare il problema della violazione dei diritti umani e dell'occupazione del Tibet al centro dell'attenzione".
Parole chiare che ricordano quelle di un leader storico del mondo politico tibetano dell'esilio, Lhasang Tsering, che in un breve intervento video su youtube (http://www.youtube.com/watch?v=3XvvXdKAU90) esorta il mondo a non dimenticare i crimini di cui si è macchiato il regime comunista cinese sia nei confronti dei popoli delle nazioni colonizzate (Tibet, Turkestan Orientale, Mongolia) sia nei confronti della sua stessa gente e di usare le Olimpiadi del 2008 per far sentire la propria voce.
E credo anche sarebbe bene non dimenticare la minaccia che lo sciovinismo, l'autoritarismo e l'aggressività del regime cinese costituiscono anche per noi, figli di un occidente sempre più distratto, pigro e incapace di reazioni intelligenti. Oggi, molto più che nel 1967 quando Bellocchio fece uscire il suo film, la Cina è vicina e si tratta di una vicinanza poco amichevole. Almeno fino a quando sarà governata dalla presente dirigenza. Non sarebbe quindi male se si sfruttassero le Olimpiadi per indebolire il sistema di cose presenti a Pechino e non consentire invece che lo rafforzino. Non sarebbe male ma forse non accadrà. Non accadde a Berlino nel 1936 e magari non accadrà a Pechino nel 2008. Però, come affermavano i latini "speranza ultima dea". O per dirla con il buon vecchio Antonio Gramsci, andiamo avanti con il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà. (www.olistica.tv; www.dossiertibet.it)
ah beh...io non le guarderò di certo!
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